Mannaro
man-nà-ro
Significato Di umano che può assumere forma ferina, riferito alla relativa bestia (es. lupo mannaro)
Etimologia dalla voce del latino volgare ricostruita come hominarius, da homo ‘umano’.
- «Ha una strana confidenza con quegli animali. Secondo me è un cinghiale mannaro.»
Parola pubblicata il 04 Giugno 2025
Non catapultiamoci sul lupo mannaro come fosse l’unico destino possibile per questa parola: le parole che si fermano in una sola locuzione si caratterizzano fortemente, ma rinunciano a una vocazione più vasta.
Certo, non che l’uomo-lupo non sia centrale, qui: ‘mannaro’ è un derivato popolare di una voce del latino parlato ricostruita come hominarius, da homo, ‘essere umano’. Il mannaro quindi sarebbe uno splendido umanario, e già in latino il riferimento doveva essere al lupus humanarius.
Il lupo, come sappiamo, non è un animale come gli altri: è il predatore, demoniaco e totemico, e ha addensato intorno a sé anche narrazioni in cui un essere umano, a quando a quando, per maledizione, ne assume ferinamente la forma. Sono storie antiche e archetipiche — pensiamo a quanto suoni di nostro gusto la storia horror del ‘versipelle’ riportata nel Satyricon di Petronio (il versipelle è precisamente il lupo mannaro). Poi ci possiamo aggiungere le consuete regole che la tradizione fa emergere intorno a ciascun mostro — la vulnerabilità alle armi d’argento, la trasformazione al plenilunio, il contagio per tramite del morso e via dicendo. Ma ecco, il lupo mannaro sa sfuggire a una grammatica di mostruosità troppo rigida: nelle narrazioni più essenziali resta un mostro lupiforme senza troppe circostanze, umano quanto basta per farne un personaggio.
Possiamo anche chiamarlo ‘licantropo’, termine di matrice greca — ánthropos è ‘uomo’, lýkos è ‘lupo’. Ma l’effetto è diverso: il licantropo proprio in quanto grecismo dotto dichiara una precisione maggiore — arrivando alle suggestioni mediche di tempi passati, che chiamavano licantropia un comportamento lupesco (?) di matrice isterica. Il lupo mannaro ha la forza della popolarità — e apre a un’idea più ampia di ‘mannaro’.
Si dice mannara la persona che può assumere forma ferina, ed è un attributo che si dà però al relativo animale. Curioso riverbero: è l’umanità, anzi l’umanarietà, che qui viene attribuita al non umano.
Possiamo parlare delle capre mannare degli Appennini, delle tigri mannare indiane e dell’Indocina, delle volpi mannare giapponesi, dei giaguari mannari aztechi, e sì, anche dei lupi mannari romani. Hanno dietro credenze e mitologie differenti, ma sono tutti casi specifici di teriantropia (thér in greco è ‘bestia’), resi con immediatezza ed efficacia grazie al mannaro.
Ma date queste premesse, l’idea dell’umano che si fa ferino, che si fa bestiale, forse ci può aprire anche a qualche suggestione un po’ più avanzata: esecutori mannari di ordini scellerati, arrivisti mannari disposti ad azzannare chiunque, intervistatori mannari che lappano le lacrime di chi intervistano. L’umano resta, ma in filigrana, deforme. Mannaro.