Parabola
pa-rà-bo-la
Significato Curva individuata dall’intersezione di un cono con un piano parallelo al suo lato obliquo; luogo geometrico dei punti del piano equidistanti da un punto fisso detto fuoco e da una retta detta direttrice; andamento di un fenomeno che raggiunge un picco e poi declina, evoluzione; breve racconto allegorico, tipico dei Vangeli
Etimologia voce dotta recuperata dal latino parabola, dal greco parabolé ‘giustapposizione, paragone’, da parabállein ‘mettere accanto, confrontare’.
- «Così si conclude la parabola di una grande narrazione.»
Parola pubblicata il 16 Aprile 2025
Abbiamo un concetto-fonte che si dirama in valli di significato diverse. E tutte di importanza cardinale.
In greco parabállo significa ‘mettere accanto’, piano derivato di bállo ‘gettare’ con prefisso para- ‘accanto’. Niente di più semplice; e questo verbetto così pacato non aveva idea di come sarebbe stato usato.
Nel III secolo a.C. visse un matematico di cui si sa poco o nulla, e di cui molte opere sono andate perdute: Apollonio di Perga. Ma un po’ in greco, un po’ in arabo, un po’ ricostruita durante il medioevo, ci è giunta una sua fondamentale opera in otto libri, le Coniche. È roba fortissima, che gli ha valso un successo universale: osservando le intersezioni fra un cono e un piano variamente inclinato, arriva a definire forme e curve fondamentali, come l’ellisse, l’iperbole, la parabola. Apollonio dà questi nomi. In particolare la parabola s’individua, come sezione conica, facendo tagliare il cono a un piano parallelo al suo lato (o meglio alla generatrice), e quindi messo accanto.
Da questa parabola matematica conseguono tutti gli strumenti parabolici che si possano immaginare, dall’antenna al forno, e anche il senso fisico della traiettoria ascendente prima e discendente poi di un corpo — il classico moto parabolico di una palla lanciata in aria o di un proiettile. Peraltro questo moto diventa figura di un percorso evolutivo, anche nel senso di un decadimento: chi troppo in alto sal cade sovente precipitevolissimevolmente. Coì possiamo parlare della parabola di una trama, di una carriera, di una moda. Ma il parabállo ha dato vita a qualcosa di ‘messo accanto’ ancor più importante.
Già nell’antichità classica per parabolé si poteva intendere il parallelo fatto per spiegare una questione difficile con un’altra, analoga e più accessibile. Come avviene il corrugamento della crosta terrestre secondo la tettonica a placche? Pensa a che cosa succede quando ci mettiamo ai due lati di un tappeto e lo spingiamo, uno verso l’altro. Un discorso di paragone.
Questo termine, un ‘messo accanto’ che quindi è un confronto, ha avuto la fortuna di essere scelto in un contesto destinato alla celebrità assoluta: fu usato in una famosa traduzione in greco della Bibbia, quella dei Settanta, in particolare per rendere l’ebraico māšāl, che ha un’analoga ambivalenza. In special modo, nel Vangelo il nome di questi paragoni viene dato ai racconti allegorici pronunciati da Cristo, che così diventano a loro volta parabole. E non finirebbe nemmeno qui.
La parabola, fatta esempio, si allarga in un senso sempre più generale (anche proprio in ambito biblico, ad esempio nella Vulgata), fino a coprire quello enorme di ‘parola’. In effetti ‘parola’ è una deformazione di ‘parabola’, di successo tale da eclissare per sempre il latino verbum, che fino ad allora era stato la parola per ‘parola’. Un esito perfetto: le parole non sono la realtà. Ce le mettiamo accanto, in questa forma particolare di fumetto che è la vita che viviamo.
Una parabola niente male, per la parabola.