Formadi
Dialetti e lingue d'Italia
for-mà-di
Significato Varietà linguistica: friulano — ‘formaggio’
Etimologia dal latino tardo formaticum ‘ciò che si mette in forma’, da forma.
- «Une piece di formadi»: 'una forma di formaggio'
Parola pubblicata il 14 Luglio 2025
Dialetti e lingue d'Italia - con Carlo Zoli
L'italiano è solo una delle lingue d'Italia. Con Carlo Zoli, ingegnere informatico che ha dedicato la vita alla documentazione e alla salvaguardia di dialetti e lingue minoritarie, a settimane alterne esploriamo una parola di questo patrimonio fantasmagorico e vasto.
Il formaggio ha un valore antropologico, storico e culturale che oggi sfugge completamente alla nostra percezione di uomini moderni, urbani, che non ricordano i tempi, relativamente recenti, in cui gran parte dei nostri antenati doveva produrre e trasformare il proprio cibo.
In zone di alta montagna dove l’inverno è molto lungo e le temperature rigide, è impossibile la produzione di grano, e i pochi cereali che sono coltivabili (l’orzo e la segale) dànno rese estremamente modeste. L’unica cosa che abbonda in quei luoghi, anche se solo alcuni mesi dell’anno, è l’erba. E se lo stomaco dell’uomo non è in grado di digerirla in modo efficiente, i molteplici stomaci (omaso, abomaso, rumine) dei bovini sono invece specializzati esattamente in questo. Ecco che, quando intorno al ‘200 la crescita demografica nelle campagne rese necessaria la colonizzazione anche di terre alte, la strategia di sopravvivenza, ingegnosa, fu quella di utilizzare le vacche come … trasformatrici di erba in latte, che poi si poteva trasformare in formaggio e altri sottoprodotti. Se l’erba non è consumabile dagli uomini, e pure il latte è piuttosto inadatto al consumo diretto, il formaggio invece è fenomenale perché è di facile conservazione, di grande densità calorica e nutrizionale e non dà, se stagionato, i problemi di intolleranza che invece i prodotti freschi dànno a una buona parte (anche se da noi minoritaria) degli adulti.
Ogni cultura, ogni popolazione, ogni zona aveva una sola, o poche, ricette per la trasformazione del latte in formaggio: in un modo molto simile a quello che avviene con i nomi delle popolazioni, che internamente al gruppo usano espressioni generiche come ‘noi’, ‘il popolo’, ‘la gente’, ecc., anche per i formaggi la maggior parte delle culture si limitava a chiamarli… ‘formaggi’, quale che fosse la loro parola per designarli. Quando poi l’economia di scambio e di mercato ha reso evidente che, grazie a piccole differenze di procedura (avete mai notato che in tutti i formaggi, di ogni possibile aspetto sapore e consistenza, gli ingredienti sono sempre solo: latte, caglio, sale) si possono avere prodotti diversissimi, si è iniziato a dare dei ‘nomi propri’, spesso geografici, alle varie tipologie.
Per paradosso, l’alta montagna, pur sostenendo popolazioni molto meno dense, garantiva un livello di vita e degli standard nutritivi mediamente migliori di quelli della pianura e della collina, dove il rischio della fame era ben più alto. I due problemi che le popolazioni montane dovevano affrontare erano: avere superficie di pascolo sufficiente per nutrire le bestie in estate (facendole salire in quota ‘seguendo l’erba’ a mano a mano che l’estate procede; e facendole ridiscendere quando inizia a tornare il freddo, avendo dato tempo all’erba più in basso di ricrescere) anche per accumulare e accantonare, nella breve e intensa buona stagione, fieno per tutto l’inverno; e procurarsi il sale, che, insieme al vino, era tra i pochissimi beni oggetto di commercio, perché non producibile in loco. Ancora io ho fatto in tempo a conoscere persone che, nate e cresciute a Elva (uno dei paesi permanentemente abitati di quota più alta che ci sia in Italia, nelle Alpi cuneesi di lingua occitana), ancora nel 1960, trasferite a valle, non si capacitavano di quanto potesse essere deliziosa la frutta che, in pratica, non avevano mai assaggiato.
Per il formaggio le parole nei dialetti italiani sono essenzialmente tre: quella dal latino formaticum, quella di tipo piemontese / valdostano del tipo toma, quella dal latino caseum (che dà il toscano e meridionale cacio, e il sardo casu). Tra tutte le forme dialettali derivate da formaticum abbiamo scelto quella friulana perché è una delle poche che sembra derivare direttamente dalla forma latina; quasi tutti gli altri dialetti che la usano (e anche l’italiano standard), o hanno preso la parola dal provenzale (il finale -aggio è spia di ‘provenzalità’, come in viaggio, omaggio, coraggio), o la derivano da un latino medievale formaius, in ogni caso col significato di ‘quello che si mette in forma’.
Un’altra caratteristica che oggi tendiamo a non a ricordare è che il formaggio ha caratteristiche di conservazione prodigiose, nel senso che anche gran parte (non tutti) i processi di degradazione lo mantengono sostanzialmente commestibile: le muffe dànno gli erborinati (parola milanese: erborin significa ‘prezzemolo’), le larve della mosca casearia Piophila casei digeriscono il formaggio producendo una fenomenale crema piccante detta casu martzu (‘formaggio marcio’), mentre, restando invece in Friuli, gli scarti di formaggio andati a male vengono rilavorati e recuperati nel formadi frant, o nel formadi cjoc ‘formaggio ubriaco’, tutte cose che v’invito ad assaggiare perché deliziose.