Grand-opéra

Le parole della musica

gran-do-pe-rà

Significato Genere di opera seria francese in voga nell’Ottocento, caratterizzato da fastosa grandiosità

Etimologia prestito dal francese grand opéra, formato dall’aggettivo latino grandis ‘grande’ e dall’italiano ‘opera’, dal latino opus.

  • «Vorrei tanto andare a teatro, stasera; è così raro che venga eseguito un capolavoro del grand-opéra!»

Se c’è un compositore che incarna in tutto e per tutto il grand-opéra francese, non può essere altri che Giacomo Meyerbeer; il commediografo e librettista Eugène Scribe ne fu invece l’artefice letterario.

Dagli anni Trenta dell’Ottocento l’epiteto grand-opéra, che usualmente non compariva sulle partiture, fu usato per riferirsi alla nuova musica di Rossini, Auber, Halévy e, appunto, di Meyerbeer. Quest’ultimo esordì nel 1831 con Robert le diable, originariamente un opéra-comique. L’inizio del grand-opéra, però, non si fa risalire a lui, bensì a La muette de Portici (La muta di Portici) di Aubert del 1828 e al Guillame Tell (1829) di Rossini, che interruppero la tradizione della tragédie-lyrique.

Tuttavia gli spettatori rimasero folgorati dal finale del terzo atto di Robert le diable: alla luce lunare di un chiostro, ricreata da Pierre Cicéri grazie all’illuminazione a gas introdotta solo qualche anno prima, danzavano inquietanti fantasmi di monache depravate.

Come anticipa il nome, il grand-opéra era grandioso, stupefacente, costoso. Così costoso che solo un teatro di Stato – appunto, l’Opéra parigina – poteva sostenerne le spese d’allestimento, programmando innumerevoli repliche a compensazione dei pesanti oneri economici.

Ogni rappresentazione richiedeva apparati imponenti: grandi orchestre, masse corali e cantanti solisti impegnati in difficili parti vocali, ballerini, mimi, scenografie sontuose e macchine teatrali che producevano mirabolanti effetti speciali. Il tutto era finalizzato a rappresentare una sceneggiatura, solitamente a sfondo storico, ordita d’intrecci, repentini colpi di scena, suspense… tanto che per poter giungere al termine spesso erano necessari ben cinque atti. Per avere un’idea di cosa s’intendesse per ‘spettacolo’ nel grand-opéra, ne La muette, ambientata durante la rivolta di Masaniello, si arrivò a inscenare una pirotecnica eruzione del Vesuvio. Aggiungiamo che, come la tragédie-lyrique, il genere era musicato dalla prima all’ultima nota, senza la recitazione parlata tipica dell’opéra-comique.

Tanto sfarzo suscitò inevitabili critiche; i compositori che perseguivano la fusione ideale tra musica e drammaturgia si scagliarono contro questo genere che sminuiva la componente drammatica a favore della spettacolarità. Verdi etichettò il teatro dell’Opéra come ‘grande bottega’, Schumann stroncò Meyerbeer, e Wagner stigmatizzò il nuovo genere poiché produceva ‘effetti senza causa’.

Ma Scribe e Meyerbeer sfruttarono ogni opportunità offerta dalla rivoluzione industriale. In Le prophète venne utilizzata per la prima volta a teatro la neonata illuminazione elettrica, allo scopo di riprodurre il lucore dell’alba che faceva da sfondo a una scena di pattinaggio sul ghiaccio. Il pubblico andò in visibilio. L’illusione scenica fu potenziata dall’oscuramento della sala durante le rappresentazioni e dall’abbassamento del sipario per i cambi di scena.

La ricca società borghese emergente «amava veder rappresentati nel teatro musicale gli ideali eroici perduti alla caduta dell’Impero napoleonico» (Claudio Casini), e ne decretò il successo. L’Opéra divenne anche un luogo simbolo dell’appartenenza a un’élite sociale, dove convenivano membri di spicco della società.

Il grand-opéra dominò le scene di Francia per circa mezzo secolo, riformulando il concetto di spettacolo secondo criteri moderni. Scenografie, balletti, luci, divennero importanti quanto musica e drammaturgia. Nei programmi di sala comparivano lunghe liste di nomi, oltre a quelli del compositore e del librettista: maestri di ballo, scenografi, tutti partecipi alla realizzazione dell’opera; qualcosa che ricorda i futuri titoli di coda cinematografici.

Né Verdi con Les Vespres sicilienne, né Wagner con il Tannhäuser (secondo la versione, più elaborata, del 1861) si sottrassero all’influenza del grand-opéra, visto che anche loro composero proprio per il teatro parigino. E pensare che alcuni sostenitori di Richard Wagner definirono sarcasticamente Rienzi, opera giovanile del Maestro tedesco, come la migliore opera di Meyerbeer.

Un possibile uso figurato? Il banchetto di famiglia preparato dalla zia con due settimane di lavoro, è stato proprio un grand-opéra.

Parola pubblicata il 20 Luglio 2025

Le parole della musica - con Antonella Nigro

La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale