Ridda
Le parole della musica
rìd-da
Significato Antica danza, eseguita girando in tondo e tenendosi per mano; moto caotico e convulso di persone o cose, turbine, tumulto
Etimologia dall’italiano antico riddare ‘danzare girando in tondo’, dal longobardo ricostruito come wrīdan ‘girare’, a sua volta dall’antico alto tedesco rīdan.
- «Il film si è rivelato una ridda di luoghi comuni»
Parola pubblicata il 13 Aprile 2025
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
Un’edizione storica del celebre Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli riportava alla voce ridda: «ballo tondo rusticano nel quale le persone tenendosi per mano girano e cantano». Dismessa la danza, è rimasto il significato di confusione, di tumulto, di baraonda.
Girare e danzare sono azioni prossime – tanto che si usa l’espressione ‘un giro di danza’ – e l’italiano ridda si fa discendere dal longobardo, ricostruito come wrīdan, ‘girare’. Similmente a carole e a rigoletti, nella ridda si danzava in cerchio.
Nel settimo canto dell’Inferno Dante scende al quarto girone, quello riservato agli avari e ai prodighi. Pape Satàn, Pape Satàn, aleppe è il celebre esordio del canto.
Due schiere, gli avari e i prodighi, ‘riddano’ scontrandosi l’una contro l’altra, come avviene a chi naviga nelle insidiose acque dello Stretto di Messina, passando tra la mostruosa Scilla e la vorace Cariddi. Commentando queste stesse terzine, nel XIV secolo Francesco Buti scrive che i dannati si muovono «a modo di ridda e ballo intorno a cerchio, infino a’ due punti ove si scontrano insieme, e percuotonsi». Dal canto suo, Boccaccio afferma che la ridda è un ballo campestre.
Dunque, ricapitolando: era una danza campagnola vivace in cui i danzatori, avvicinandosi in cerchio, s’incontravano-scontravano; da qui scaturisce la confusione.
Accenni alla ridda si trovano anche nei versi di alcuni madrigali polifonici trecenteschi. Giovanni da Cascia ne compose uno a due voci; il testo è ispirato dalle riflessioni che avvengono «sott’un bel pero» richiamando il tema, caro alla poesia madrigalesca dell’epoca, della meditazione all’ombra d’un albero:
E pensare che in arabo ridda significa ‘ritorno’, un po’ come in latino reditus (o rèddere ‘restituire, ritornare’, da cui il moderno ‘rendere’). Il termine è noto perché all’alba dell’Islam, subito dopo la morte del Profeta, le tribù che avevano trovato con lui accordi pacifici volevano ‘ritornare’ libere, rifiutando di riconoscere come loro capo il successore di Maometto, Abū Bakr; la vicenda causò la cosiddetta ‘Guerra della ridda’. Tuttavia, gli etimologi scartano la possibilità che nella lingua del Sì la ridda indichi qualcosa di diverso dalla danza.
L’Ottocento musicale reinterpretò con successo la ridda. Il compositore Giusto Dacci scrisse La Ridda, una ‘sinfonia in La’ per grande orchestra, premiata al concorso Baseri di Firenze del 1867. Erano gli anni della Scapigliatura milanese, che annoverava tra i suoi esponenti di punta il genio irrequieto di Arrigo Boito. Librettista, musicista, critico e poeta, nel 1868 Boito compose l’opera Mefistofele, che contempla una «ridda infernale». Chiudiamo questa breve carrellata con la «ridda di fanciulli» dell’Epitalamio sinfonico di Giovanni Sgambati, del 1887.
E torniamo agli usi attuali: una ridda di persone è dunque una folla che si accalca caoticamente, mentre una ridda di pensieri scatena sentimenti contrastanti. Con più leggerezza, il giorno del proprio compleanno si riceverà una ridente ridda di auguri.